lunedì 28 aprile 2014

Una Lama - racconto diverso dell'Ispettore De Angelis 4° capitolo 2nda parte














La pila delle cartelle dei casi irrisolti era in fila, sulla destra della scrivania. Accanto, verso il centro, il posacenere di De Angelis, colmo di mozziconi di cigarillo. 
La luce che entrava dalla grande finestra del palazzo di via Fatebenefratelli risaltava i profili rossi e verdi dei pieghevoli in plastica che contenevano referti, verbali, elenchi di prove, fotografie e tutto quello che dovrebbe servire per risolvere un’ indagine. 
Insieme a testardaggine, coraggio e anche un po’ di fortuna.

Si sentiva impotente ed in balia di forze al di là delle sue possibilità. 
Sembrava girasse intorno senza venire a capo di nulla. Iniziava ad avere una visione distorta di Milano, una città abitata da donne bellissime che imploravano il suo aiuto con occhi terrorizzati, inseguite perennemente dal loro assassino.
Squillò il telefono sulla scrivania:

“De Angelis !” rispose nervosamente

“Sei ancora lì quindi” era Jessica. Ricordò di avere il cellulare nella tasca del giubbotto, con la vibrazione ancora attivata.

“Sì Piccolé perdonami ma mi sono dimenticato di tirare fuori il cellulare dalla tasca e metterlo sulla scrivania. E’ molto che mi cerchi ?!”

“Soltanto dalle cinque di oggi pomeriggio. Sono le undici. Dimmi tu se è una cosa normale”

Cazzo. Era stato sei ore in balia di pensieri, paure, visioni. Non si sentiva affatto bene. Un giro per i marciapiedi di Milano però avrebbe potuto schiarirgli le idee, soprattutto a quell’ora.
 
“Hai mangiato ?!” le chiese

“Veramente la cena è ponta dalle nove ma credo che ormai sia tutto uno schifo”

“Dai, perdonami. Lo sai come e quanto sto impicciato col cervello su ‘sto caso. Preparati, passo a prenderti fra mezz’ora andiamo un po’ in giro come piace a noi. Prendi il casco che sono in moto. E non iniziare a dire no. Arrivo.”

La serata fu piacevole. 
Il livello di adrenalina di De Angelis si era abbassato notevolmente e ,complice la stanchezza da parte sua ed il calore di Jessica, si stava incredibilmente rilassando. Stava assaporando il gusto della serata, stava ammirando la bellezza degli occhi della sua donna, dei suoi piedi infilati in quelle magnifiche scarpe fucsia, di cavallino, che aveva indossato.

Erano passati a salutare Gigi, il suo amico barman, che li aveva inebriati con il nettare dei cocktail che riusciva a preparare con la solita eleganza e maestria. Erano al terzo Martini lui, al secondo Cosmopolitan lei quando, Jessica, lo prese per le mani e lo portò a ballare. 
Riuscì a resistere per quasi mezz’ora, ballando e strusciandosi contro il corpo che più lo eccitava che avesse mai incontrato. Poi rallentò, siavvicinò al bancone mentre lei ancora si dimenava al ritmo della house.

“Gi’ mi dai per favore un bicchiere d’acqua frizzante..”

“T’èl chì lo sbirro col fiatone. Claudio ti vedo un po’ affaticato eh ?!”

“Scherza te. Sai in che merda di casino siamo capitati vero ?! Ed io sono qui che ballo come un coj..anzi come un bèl pirla !”

“Sì, ho letto e ti dirò: non ti invidio manco per il cazzo guarda. Mestiere di merda che fai in mezzo a maniaci, froci, pazzi furiosi, mignotte vendicative"

“Hai capito sì ?! Ho una paura fottuta che st’affare non finirà più proprio. Non so da che parte riuscire a trovare qualche appiglio fra un caso e l’altro”
 
“Ma come ?! Non è sempre lui che le uccide ? Un unico pirla pervertito !?”

“Sembrerebbe di sì ma, niente impronte, niente tracce neanche per sbaglio. Oh una che fosse una eh ?! Domani ricomincio anche con altri che provo ad incrociare ma, me sa che me ce vuole un mezzo miracolo”

“Claudio, il miracolo arriva perché tu sei un bel cazzo di mastino. Ti punti e pensi solo a buttare giù l’ostacolo che hai. Tieni, questo lo offro io”

“Sei ‘namico grazie Gigi !”

Quella notte fecero l’amore, intensamente, selvaggiamente. Lei la mattina dopo si ritrovò con parecchi graffi e morsi sul corpo.

“Amore, ad un tratto ho creduto volessi soffocarmi stanotte” gli disse Jessica mentre girava lo zucchero nel caffè

“Scusa amore ma, credo di essermi scaricato della tensione di questi giorni”

“Allora accumulane ancora ti prego” facendo l’occhiolino e infilandosi in bagno.

Quando tornò in Questura sbirciò dalla porta della sua stanza e le cartelline erano ancora lì, ovviamente.
Le contò di nuovo, spostandole dall’altro lato della scrivania. Anzi, pensò, prese la scrivania e la spinse in corridoio. Diede un calcio al cestino della spazzatura mandandolo a sbattere contro il muro, sotto la finestra.
Prese le cartelline e le sistemò in terra, in circolo. Lui ci si sedette in mezzo.               
Entrò Tolli

“Cos’è che stai combinando ?! Una seduta spiritica ?!”

“Bravo, forse con quella qualcosa risolviamo. Dai Marco non dì stronzate e lasciame lavorà”

“Bene, bene…vado a prenderti la colazione va. Nun s’ciupàr te né ! Chi mangia de bòn poi spusa de catif !”

“Ecco bravo. Cornetto pure grazie !”

Su ciascuna cartella erano segnati nome, cognome e data di decesso. Sì insomma, di assassinio. De Angelis le mise in ordine decrescente di anno.                   Raccolse tutta la documentazione proveniente da indagini dirette da Fatebenefratelli, fece lo stesso con quelle partite in origine dai commissariati di zona.
Delle 21 che rientravano nell’area urbana, sette vittime non erano italiane. 
De Angelis mise da parte le cartelline di queste e iniziò a verificare i propri istinti.   La voce della sua inconscia violenza silenziosa. 
Alla fine prese la decisione che l’assassino preferiva le italiane.
Per cui rimanevano 15 cartelline divise per ben 10 anni. 
Tenuto conto che il profilo psicologico sottolineava che l’uomo era fra i trent’anni ed i trentacinque, ne tolse altre 4 rimanendo con 11 cartelline. Quella il suo istinto gli diceva che poteva essere la strada da percorrere. Decise di fare una specie di manifesto, di poster con le fotografie, prima di leggere ancora una volta i dossier dall’inizio alla fine.

Cancellò tutti i pensieri, tolse le fotografie da dentro le cartelline e le appiccicò accanto alla cartina di Milano, dopo aver staccato le 42 puntine precedenti. 
I sorrisi dei volti delle ragazze nelle fotografie gli facevano sobbalzare i pensieri, l’anima. Convulsamente. Nel tentativo di arrivare all’orrenda certezza alla quale stava arrivando. Si sentì afferrare come da una morsa insanguinata, da una logica del terrore.
Le ragazze morte erano tutte della stessa categoria, sembravano quasi sorelle, quasi imparentate una con l’altra. Somiglianza nei corpi sodi e tonici, nei tratti mediterranei, aspetto sano, forte, vestite in maniera sexy, connotate da piercing, tatuaggi oppure semplici gioielli che erano veri e propri vezzi. Tutte donne innocenti apparentemente. 
Riguardò tutte le foto un’altra ventina di volte.                                                       Anelli particolari, collane con teschi oppure dadi oppure ancora ciondoli a forma di proiettile, in contrasto con un aspetto femminile splendido. Spalle scoperte a volte, trucco sì ma non eccessivo poiché erano già belle di loro. Non aveva dubbi. 
Le aveva uccise perché lo eccitavano e voleva distruggere la loro femminilità, così mirabilmente rappresentata da quello che erano.  
Da come vivevano.  
Da ciò che sceglievano.

Ricominciò a prendere parte ai riti di morte. Le amputazioni, le violenze sessuali, gli strangolamenti, all’ingestione forzata di liquidi caustici, agli squarci sugli addomi, alla scomparsa dei capezzoli o delle labbra vaginali o addirittura dei seni interi.
Metodi diversi con l’intenzione di non dare una vera e propria direzione alle indagini. Per non far capire che si trattava soltanto di un massacro.                                                                            
Unico comune denominatore: l’assenza di indizi.                                           Nessuna prova decente né concreta. Scelte per il loro aspetto.                       Soltanto la musica c’era sempre.                                                                            La sensualità e l’essere donne era l’epidemia di quella gioventù falciata.

De Angelis rilesse tutto il contenuto delle cartelline uscendo da quello stato di ipnosi, di trance, per rendersi conto dopo un po’ di essere seduto col culo a terra da più di due ore. Si alzò per allungare le gambe ed accendere l’ennesimo cigarillo. Nell’attimo esatto in cui aspirò la prima boccata, si sentì sopraffare da un orrore grande, più di lui.                             
Un orrore vero, reale: quello della genialità di quell’assassino, una genialità imperscrutabile, indecifrabile. 
Era ad un vicolo cieco e se ne rendeva conto. Non ci avrebbe potuto fare assolutamente nulla, era alla catarsi. 

Ma no, non poteva arrendersi così, poteva sempre riuscire a fare qualcosa.
Prese il nastro adesivo blu da dentro il cassetto della scrivana, tolse i calendari celebrativi della Polizia dal muro dietro la sedia e iniziò ad appiccicare le fotografie delle ragazze da lì per tutta la stanza. 
Mentre le attaccava una per una pensava:

“ Lui pensava a come mutilarle e violentarle mentre le sceglieva. Pensava al sangue ed all’orgasmo. Un orgasmo punitivo però”

Poi prese ancora una volta le cartelline, lesse i dati e chiudendo gli occhi e sbirciando ogni tanto la cartina cercò di pensare, si costrinse a pensare solo in termini di zone, di quartieri. Poi prese la penna e su un blocco notes iniziò a scrivere:

Zona Porta Romana:
-      Clara Abbagnale morta il 23/4/1999
-      Ludovica Campagnola morta l’11/5/2001
-      Elisabetta Marabelli morta il 18/10/2004

Zona Città Studi/Lambrate
-      Melania Giannini morta il 13/11/2010
-      Giovanna DiFeliciantonio morta il 28/2/2002

Zona Ticinese
-      Linda Laurenti morta il 22/11/2011
-      Carla Pomponi morta il 30/3/2011
-      Elena Giavrotti morta il 7/9/2006
-      Francesca Bellamore morta il 14/2/2008
-      Ilaria Cederno morta il 23/8/2003

Zona Corvetto-Calvairate
-      Alessandra Bonamico morta il 29/12/2009
-      Simona Orlandi morta il 15/11/2005
-      Lucrezia Balconi morta il 9/7/2008
-      Silvana Dusi morta il 31/3/2000
-      Maria De Cecco morta il 4/7/2010

Dividendole per modus operandi rilesse la pagina dei dati e ne tirò fuori tre morte per colpi ricevuti da un corpo contundente e poi mutilate, due mutilate e stuprate, due per arma da fuoco e poi mutilate. Secondo lui tutte venivano stuprate ma non tutti coloro che si erano occupati delle indagini avevano controllato.                                                  
Passando poi alla cronologia delle date di morte De Angelis segnata accanto alla liste delle vittime, trovò una metodologia dell’assassino.
Fatta eccezione in un paio di casi l’assassino uccideva ad intervalli variabili dai sei ai dodici mesi fatto salvo per gli ultimi due omicidi compiuti nello stesso mese.                            
Con quegli intervalli di tempo era potuto sfuggire alle indagini incrociate per tutto quel periodo. 
Gli omicidi erano senza dubbio eseguiti in maniera brillante, a termine secondo lui, di una accurata conoscenza maturata sorvegliando le vittime anche, come era successo con l’ultima, spiandole da dentro la loro casa. 
Forse c’erano state con molta probabilità altre vittime che però non erano elencate a causa di perdita dei dossier o degli errori delle squadre investigative o dei computer.

C’era un margine di errore nelle indagini di Polizia. I commissariati di zona e quello centrale eliminavano le indagini insolute dopo 15 anni. Ciò significava non poter accedere ad informazioni precedenti al 1998.

Invece questo comportamento patologico, ossessivo e per nulla compulsivo se non nel momento della violenza sessuale, era estraneo al consueto comportamento freddo ed imprevedibile dell’assassino. 
Uccideva regolarmente un certo tipo di donne. 
Uccideva regolarmente mutilando in un secondo momento e sempre dopo averne sessualmente abusato. Scientifico, propedeutico ma, del tutto ripetitivo.

Prese le cartelline dei primi 5 anni e lesse il contenuto di nuovo dall’inizio alla fine. Quando terminò del tutto, spense la luce, si sdraiò sulla poltrona di Tolli che aveva portato per quando facevano nottate, accese l’ennesimo cigarillo e iniziò a pensare su tutto ciò aveva appreso.

Tutto iniziò a scorrere davanti ai suoi occhi chiusi come un film, a velocità doppia però. Inspirava il fumo, sudava un po’ forse per la rabbia, la pelle della poltrona scricchiolava sotto il movimento del suo corpo. Non riusciva a stare neanche fermo da sdraiato.

Clara Abbagnale morta il 23 aprile del millenovecentonovantanove. Il secolo scorso, pensò. Gli inquilini avevano chiamato la Polizia disturbati dalla musica alta. 
Gli agenti avevano sfondato la porta e trovato Clara riversa sul pavimento. 
La schiena completamente priva della pelle, un casco da motociclista sulla testa, i piedi mozzati e privati delle dita ma, sistemati a circa un metro dal corpo. Quando dopo i rilievi la girarono sulla schiena e le tolsero il casco, due agenti svennero ed uno dei due, dopo mesi di psichiatra terapeuta, messo in servizio in ufficio.

Il 31 marzo dell’anno successivo una pattuglia convergeva in zona Calvairate chiamata dagli inquilini del palazzo dove viveva Silvana Duse.                                                                      
Si erano lamentati di uno stereo acceso nella casa a tutto volume, una musica assordante turbava la quiete condominiale. Gli agenti bussarono e dopo quasi un quarto d’ora, quando nessuno si era presentato all’uscio per aprirlo, entrarono da una finestra semiaperta del ballatoio.                                                            Trovarono Silvana seduta su una poltrona celeste imbottita. I braccioli, l’accappatoio che aveva addosso ed il pavimento di fronte a lei fradici del sangue schizzato fuori dalle arterie tagliate dei polsi. L’intestino riverso ai suoi piedi, completamente sezionata dal collo all’ombelico. I seni asportati, le orbite degli occhi bruciate.

Il meccanismo mentale di De Angelis ronzava nella stanza. Al buio.

Gli indirizzi erano lontani non più di 3 chilometri uno dall’altro. Scosse la testa incazzato. Qualsiasi poliziotto con qualche grammo di cervello in più e tre o quattro anni di esperienza avrebbe collegato i due omicidi che ancora oggi erano rimasti irrisolti.

L’omicidio più recente prima dei due nei quali di erano imbattuti Tolli e lui era dell’anno precedente. 
Carla Pomponi. 
Fatta a pezzi, completamente. Strinse i pugni, iniziò a pensare forte, tentando di rivolgere una specie di preghiera ad un tipo di Dio personale, nel quale credeva poco, con il quale non si confrontava mai ma, ora, cercato e di comodo, utile per una speranza. 
Il pensiero era ancora nella sua testa quando sentì bussare alla porta dietro di lui.



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