La
pila delle cartelle dei casi irrisolti era in fila, sulla destra della
scrivania. Accanto, verso il centro, il posacenere di De Angelis, colmo di
mozziconi di cigarillo.
La luce che entrava dalla grande finestra del palazzo
di via Fatebenefratelli risaltava i profili rossi e verdi dei pieghevoli in
plastica che contenevano referti, verbali, elenchi di prove, fotografie e tutto
quello che dovrebbe servire per risolvere un’ indagine.
Insieme a
testardaggine, coraggio e anche un po’ di fortuna.
Si
sentiva impotente ed in balia di forze al di là delle sue possibilità.
Sembrava
girasse intorno senza venire a capo di nulla. Iniziava ad avere una visione
distorta di Milano, una città abitata da donne bellissime che imploravano il suo
aiuto con occhi terrorizzati, inseguite perennemente dal loro assassino.
Squillò
il telefono sulla scrivania:
“De
Angelis !” rispose nervosamente
“Sei
ancora lì quindi” era Jessica. Ricordò di avere il cellulare nella tasca del
giubbotto, con la vibrazione ancora attivata.
“Sì
Piccolé perdonami ma mi sono dimenticato di tirare fuori il cellulare dalla
tasca e metterlo sulla scrivania. E’ molto che mi cerchi ?!”
“Soltanto
dalle cinque di oggi pomeriggio. Sono le undici. Dimmi tu se è una cosa
normale”
“Hai
mangiato ?!” le chiese
“Veramente
la cena è ponta dalle nove ma credo che ormai sia tutto uno schifo”
“Dai,
perdonami. Lo sai come e quanto sto impicciato col cervello su ‘sto caso.
Preparati, passo a prenderti fra mezz’ora andiamo un po’ in giro come piace a
noi. Prendi il casco che sono in moto. E non iniziare a dire no. Arrivo.”
La
serata fu piacevole.
Il livello di adrenalina di De Angelis si era abbassato
notevolmente e ,complice la stanchezza da parte sua ed il calore di Jessica, si
stava incredibilmente rilassando. Stava assaporando il gusto della serata,
stava ammirando la bellezza degli occhi della sua donna, dei suoi piedi
infilati in quelle magnifiche scarpe fucsia, di cavallino, che aveva indossato.
Erano
passati a salutare Gigi, il suo amico barman, che li aveva inebriati con il
nettare dei cocktail che riusciva a preparare con la solita eleganza e
maestria. Erano al terzo Martini lui, al secondo Cosmopolitan lei quando,
Jessica, lo prese per le mani e lo portò a ballare.
Riuscì a resistere per
quasi mezz’ora, ballando e strusciandosi contro il corpo che più lo eccitava
che avesse mai incontrato. Poi rallentò, siavvicinò al bancone mentre lei
ancora si dimenava al ritmo della house.
“Gi’
mi dai per favore un bicchiere d’acqua frizzante..”
“T’èl
chì lo sbirro col fiatone. Claudio ti vedo un po’ affaticato eh ?!”
“Scherza
te. Sai in che merda di casino siamo capitati vero ?! Ed io sono qui che ballo
come un coj..anzi come un bèl pirla !”
“Sì,
ho letto e ti dirò: non ti invidio manco per il cazzo guarda. Mestiere di merda
che fai in mezzo a maniaci, froci, pazzi furiosi, mignotte vendicative"
“Hai
capito sì ?! Ho una paura fottuta che st’affare non finirà più proprio. Non so
da che parte riuscire a trovare qualche appiglio fra un caso e l’altro”
“Ma
come ?! Non è sempre lui che le uccide ? Un unico pirla pervertito !?”
“Sembrerebbe
di sì ma, niente impronte, niente tracce neanche per sbaglio. Oh una che fosse
una eh ?! Domani ricomincio anche con altri che provo ad incrociare ma, me sa
che me ce vuole un mezzo miracolo”
“Claudio,
il miracolo arriva perché tu sei un bel cazzo di mastino. Ti punti e pensi solo
a buttare giù l’ostacolo che hai. Tieni, questo lo offro io”
“Sei
‘namico grazie Gigi !”
Quella
notte fecero l’amore, intensamente, selvaggiamente. Lei la mattina dopo si
ritrovò con parecchi graffi e morsi sul corpo.
“Amore,
ad un tratto ho creduto volessi soffocarmi stanotte” gli disse Jessica mentre
girava lo zucchero nel caffè
“Scusa
amore ma, credo di essermi scaricato della tensione di questi giorni”
“Allora
accumulane ancora ti prego” facendo l’occhiolino e infilandosi in bagno.
Quando
tornò in Questura sbirciò dalla porta della sua stanza e le cartelline erano
ancora lì, ovviamente.
Le
contò di nuovo, spostandole dall’altro lato della scrivania. Anzi, pensò, prese
la scrivania e la spinse in corridoio. Diede un calcio al cestino della
spazzatura mandandolo a sbattere contro il muro, sotto la finestra.
Prese
le cartelline e le sistemò in terra, in circolo. Lui ci si sedette in mezzo.
Entrò Tolli
“Cos’è
che stai combinando ?! Una seduta spiritica ?!”
“Bravo,
forse con quella qualcosa risolviamo. Dai Marco non dì stronzate e lasciame
lavorà”
“Bene,
bene…vado a prenderti la colazione va. Nun s’ciupàr te né ! Chi mangia de bòn
poi spusa de catif !”
“Ecco
bravo. Cornetto pure grazie !”
Su
ciascuna cartella erano segnati nome, cognome e data di decesso. Sì insomma, di
assassinio. De Angelis le mise in ordine decrescente di anno. Raccolse tutta
la documentazione proveniente da indagini dirette da Fatebenefratelli, fece lo
stesso con quelle partite in origine dai commissariati di zona.
Delle
21 che rientravano nell’area urbana, sette vittime non erano italiane.
De
Angelis mise da parte le cartelline di queste e iniziò a verificare i propri
istinti. La voce della sua inconscia violenza
silenziosa.
Alla fine prese la decisione che l’assassino preferiva le italiane.
Per
cui rimanevano 15 cartelline divise per ben 10 anni.
Tenuto conto che il
profilo psicologico sottolineava che l’uomo era fra i trent’anni ed i
trentacinque, ne tolse altre 4 rimanendo con 11 cartelline. Quella il suo
istinto gli diceva che poteva essere la strada da percorrere. Decise di fare
una specie di manifesto, di poster con le fotografie, prima di leggere ancora una
volta i dossier dall’inizio alla fine.
Cancellò
tutti i pensieri, tolse le fotografie da dentro le cartelline e le appiccicò
accanto alla cartina di Milano, dopo aver staccato le 42 puntine precedenti.
I
sorrisi dei volti delle ragazze nelle fotografie gli facevano sobbalzare i
pensieri, l’anima. Convulsamente. Nel tentativo di arrivare all’orrenda
certezza alla quale stava arrivando. Si sentì afferrare come da una morsa
insanguinata, da una logica del terrore.
Le
ragazze morte erano tutte della stessa categoria, sembravano quasi sorelle,
quasi imparentate una con l’altra. Somiglianza nei corpi sodi e tonici, nei
tratti mediterranei, aspetto sano, forte, vestite in maniera sexy, connotate da
piercing, tatuaggi oppure semplici gioielli che erano veri e propri vezzi.
Tutte donne innocenti apparentemente.
Riguardò tutte le foto un’altra ventina
di volte. Anelli
particolari, collane con teschi oppure dadi oppure ancora ciondoli a forma di proiettile,
in contrasto con un aspetto femminile splendido. Spalle scoperte a volte,
trucco sì ma non eccessivo poiché erano già belle di loro. Non aveva dubbi.
Le
aveva uccise perché lo eccitavano e voleva distruggere la loro femminilità,
così mirabilmente rappresentata da quello che erano.
Da come vivevano.
Da
ciò che sceglievano.
Ricominciò
a prendere parte ai riti di morte. Le amputazioni, le violenze sessuali, gli
strangolamenti, all’ingestione forzata di liquidi caustici, agli squarci sugli
addomi, alla scomparsa dei capezzoli o delle labbra vaginali o addirittura dei
seni interi.
Metodi
diversi con l’intenzione di non dare una vera e propria direzione alle
indagini. Per non far capire che si trattava soltanto di un massacro.
Unico
comune denominatore: l’assenza di indizi. Nessuna prova decente né
concreta. Scelte per il loro aspetto. Soltanto
la musica c’era sempre. La
sensualità e l’essere donne era l’epidemia di quella gioventù falciata.
De
Angelis rilesse tutto il contenuto delle cartelline uscendo da quello stato di
ipnosi, di trance, per rendersi conto dopo un po’ di essere seduto col culo a
terra da più di due ore. Si alzò per allungare le gambe ed accendere l’ennesimo
cigarillo. Nell’attimo esatto in cui aspirò la prima boccata, si sentì
sopraffare da un orrore grande, più di lui.
Un orrore vero, reale:
quello della genialità di quell’assassino, una genialità imperscrutabile,
indecifrabile.
Era ad un vicolo cieco e se ne rendeva conto. Non ci avrebbe
potuto fare assolutamente nulla, era alla catarsi.
Ma no, non poteva arrendersi
così, poteva sempre riuscire a fare qualcosa.
Prese
il nastro adesivo blu da dentro il cassetto della scrivana, tolse i calendari
celebrativi della Polizia dal muro dietro la sedia e iniziò ad appiccicare le
fotografie delle ragazze da lì per tutta la stanza.
Mentre le attaccava una per
una pensava:
“ Lui
pensava a come mutilarle e violentarle mentre le sceglieva. Pensava al sangue
ed all’orgasmo. Un orgasmo punitivo però”
Poi
prese ancora una volta le cartelline, lesse i dati e chiudendo gli occhi e
sbirciando ogni tanto la cartina cercò di pensare, si costrinse a pensare solo
in termini di zone, di quartieri. Poi prese la penna e su un blocco notes
iniziò a scrivere:
Zona
Porta Romana:
- Clara Abbagnale morta il
23/4/1999
- Ludovica Campagnola morta
l’11/5/2001
- Elisabetta Marabelli morta il
18/10/2004
Zona
Città Studi/Lambrate
- Melania Giannini morta il
13/11/2010
- Giovanna DiFeliciantonio morta
il 28/2/2002
Zona
Ticinese
- Linda Laurenti morta il
22/11/2011
- Carla Pomponi morta il
30/3/2011
- Elena Giavrotti morta il
7/9/2006
- Francesca Bellamore morta il
14/2/2008
- Ilaria Cederno morta il
23/8/2003
Zona Corvetto-Calvairate
- Alessandra Bonamico morta il
29/12/2009
- Simona Orlandi morta il
15/11/2005
- Lucrezia Balconi morta il
9/7/2008
- Silvana Dusi morta il 31/3/2000
- Maria De Cecco morta il
4/7/2010
Dividendole
per modus operandi rilesse la pagina dei dati e ne tirò fuori tre morte per
colpi ricevuti da un corpo contundente e poi mutilate, due mutilate e stuprate,
due per arma da fuoco e poi mutilate. Secondo lui tutte venivano stuprate ma
non tutti coloro che si erano occupati delle indagini avevano controllato.
Passando poi alla cronologia delle date di morte De Angelis segnata
accanto alla liste delle vittime, trovò una metodologia dell’assassino.
Fatta
eccezione in un paio di casi l’assassino uccideva ad intervalli variabili dai
sei ai dodici mesi fatto salvo per gli ultimi due omicidi compiuti nello stesso
mese.
Con
quegli intervalli di tempo era potuto sfuggire alle indagini incrociate per
tutto quel periodo.
Gli omicidi erano senza dubbio eseguiti in maniera
brillante, a termine secondo lui, di una accurata conoscenza maturata
sorvegliando le vittime anche, come era successo con l’ultima, spiandole da
dentro la loro casa.
Forse c’erano state con molta probabilità altre vittime
che però non erano elencate a causa di perdita dei dossier o degli errori delle
squadre investigative o dei computer.
C’era
un margine di errore nelle indagini di Polizia. I commissariati di zona e
quello centrale eliminavano le indagini insolute dopo 15 anni. Ciò significava
non poter accedere ad informazioni precedenti al 1998.
Invece questo
comportamento patologico, ossessivo e per nulla compulsivo se non nel momento
della violenza sessuale, era estraneo al consueto comportamento freddo ed imprevedibile
dell’assassino.
Uccideva regolarmente un certo tipo di donne.
Uccideva
regolarmente mutilando in un secondo momento e sempre dopo averne sessualmente
abusato. Scientifico, propedeutico ma, del tutto ripetitivo.
Prese
le cartelline dei primi 5 anni e lesse il contenuto di nuovo dall’inizio alla
fine. Quando terminò del tutto, spense la luce, si sdraiò sulla poltrona di
Tolli che aveva portato per quando facevano nottate, accese l’ennesimo cigarillo
e iniziò a pensare su tutto ciò aveva appreso.
Tutto
iniziò a scorrere davanti ai suoi occhi chiusi come un film, a velocità doppia
però. Inspirava il fumo, sudava un po’ forse per la rabbia, la pelle della
poltrona scricchiolava sotto il movimento del suo corpo. Non riusciva a stare
neanche fermo da sdraiato.
Clara Abbagnale
morta il 23 aprile del millenovecentonovantanove. Il secolo scorso, pensò. Gli
inquilini avevano chiamato la Polizia disturbati dalla musica alta.
Gli agenti
avevano sfondato la porta e trovato Clara riversa sul pavimento.
La schiena
completamente priva della pelle, un casco da motociclista sulla testa, i piedi
mozzati e privati delle dita ma, sistemati a circa un metro dal corpo. Quando
dopo i rilievi la girarono sulla schiena e le tolsero il casco, due agenti
svennero ed uno dei due, dopo mesi di psichiatra terapeuta, messo in servizio
in ufficio.
Il 31
marzo dell’anno successivo una pattuglia convergeva in zona Calvairate chiamata
dagli inquilini del palazzo dove viveva Silvana Duse.
Si
erano lamentati di uno stereo acceso nella casa a tutto volume, una musica
assordante turbava la quiete condominiale. Gli agenti bussarono e dopo quasi un
quarto d’ora, quando nessuno si era presentato all’uscio per aprirlo, entrarono
da una finestra semiaperta del ballatoio. Trovarono
Silvana seduta su una poltrona celeste imbottita. I braccioli, l’accappatoio
che aveva addosso ed il pavimento di fronte a lei fradici del sangue schizzato
fuori dalle arterie tagliate dei polsi. L’intestino riverso ai suoi piedi,
completamente sezionata dal collo all’ombelico. I seni asportati, le orbite
degli occhi bruciate.
Il
meccanismo mentale di De Angelis ronzava nella stanza. Al buio.
Gli
indirizzi erano lontani non più di 3 chilometri uno dall’altro. Scosse la testa
incazzato. Qualsiasi poliziotto con qualche grammo di cervello in più e tre o
quattro anni di esperienza avrebbe collegato i due omicidi che ancora oggi
erano rimasti irrisolti.
L’omicidio
più recente prima dei due nei quali di erano imbattuti Tolli e lui era dell’anno
precedente.
Carla Pomponi.
Fatta a pezzi, completamente. Strinse i pugni,
iniziò a pensare forte, tentando di rivolgere una specie di preghiera ad un
tipo di Dio personale, nel quale credeva poco, con il quale non si confrontava
mai ma, ora, cercato e di comodo, utile per una speranza.
Il pensiero era
ancora nella sua testa quando sentì bussare alla porta dietro di lui.
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